Bruxelles – A tirare troppo la corda, finisce che si spezza. Con le ultime picconate inflitte allo Stato di diritto in Ungheria – la stretta contro la comunità Lgbtiq+ e il divieto del Budapest Pride – e quelle future – la probabile adozione della legge sulla “trasparenza della vita pubblica“ -, Viktor Orbán rischia di aver oltrepassato il limite. Dopo la condanna di 20 Paesi membri per la regressione democratica in atto e gli avvertimenti della Commissione europea, lancia l’allarme anche l’Agenzia Ue per i diritti fondamentali (Fra): gli ultimi sviluppi “potrebbero violare la Carte dei diritti fondamentali dell’Unione europea” e “i valori sanciti dai trattati”.
In una dichiarazione diffusa nella serata di ieri (29 maggio), l’Agenzia con sede a Vienna ha espresso “profonda preoccupazione” per le mosse del governo ultra-conservatore di Orbán. La legge di stampo putiniano al vaglio del Parlamento, che consentirebbe a Budapest di silenziare il dissenso, mascherandolo come interferenza straniera, “rischia di compromettere il ruolo essenziale che la società civile svolge in qualsiasi democrazia basata sullo Stato di diritto”, denuncia la Fra.

La natura del disegno di legge sulla trasparenza della vita pubblica, insieme ai provvedimenti e alle modifiche costituzionali che violano i diritti fondamentali delle persone Lgbtiq+, trascinano l’Ungheria sempre più lontano dagli standard europei: “Potrebbero violare il diritto alla libertà di espressione, di riunione e di associazione, la libertà e il pluralismo dei media e il diritto alla vita privata”, sottolinea l’Agenzia, ma compromettono anche “il più ampio impegno nei confronti dei valori dell’Ue sanciti dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea“. Tra questi “il rispetto della dignità umana, i diritti umani, i diritti delle minoranze, il pluralismo, la non discriminazione, la tolleranza, la giustizia, la solidarietà e l’uguaglianza”.
L’agenzia diretta dall’irlandese Michael O’Flaherty insiste: “La situazione eccezionale come quella che si sta sviluppando in Ungheria – come l’adozione di una legge che consente il divieto del Budapest Pride – può e deve essere evitata in tutta l’Ue“. L’appello è diretto alla Commissione europea, che è sì tenuta a “valutare le specificità della legislazione”, ma che deve intervenire in virtù del suo ruolo di guardiana dei trattati.
C’è un secondo grave rischio evidenziato dalla Fra: le fughe in avanti (o più propriamente all’indietro) di Orbán “riflettono tendenze più ampie di regressione democratica, restringimento dello spazio civico e sfide ai diritti fondamentali in tutta l’Ue“. Un processo subdolo, che non si vede, che “raramente si verifica attraverso rotture improvvise”. L’Agenzia Ue per i diritti fondamentali l’ha colto e messo per iscritto già nelle relazioni annuali del 2023 e del 2024, che indicano “un netto deterioramento dello spazio civico negli ultimi anni in diversi Stati membri dell’Ue”. Attraverso adozione di leggi che limitano il diritto di riunione pacifica, l’uso di tecnologie di sorveglianza, “un corpus crescente di misure giuridiche, amministrative e finanziarie” che prendono di mira organizzazioni della società civile, giornalisti e attivisti. Misure spesso supportate dalla “diffusione di narrazioni stigmatizzanti che mirano a delegittimare o screditare gli attori della società civile”.

Per invertire la pericolosa tendenza, le istituzioni europee dovrebbero “agire con decisione” – conclude il comunicato -, “sostenere l’attuazione delle sentenze della Corte di giustizia dell’Ue e garantire l’abrogazione delle leggi che violano il diritto dell’Ue“, oltre “sostenere e utilizzare i meccanismi di protezione degli attori della società civile e dei difensori dei diritti umani”.
Attualmente, l’esecutivo Ue sta mantenendo congelati quasi 20 miliardi di euro in finanziamenti europei all’Ungheria a causa delle condizionalità sullo Stato di diritto. E già dal 2018 è stato avviata dall’Eurocamera la procedura ex articolo 7 del Trattato: da tempo incagliatasi al tavolo dei governi nazionali, potrebbe – alla luce dei 20 Paesi membri che hanno messo all’angolo Orbán – raggiungere il consenso dei quattro quinti (22 su 27) necessario per procedere con l’accertamento di “violazioni sistematiche e persistenti” dello Stato di diritto. I sei che ancora si chiamano fuori sono (oltre all’Ungheria) Bulgaria, Croazia, Italia, Polonia, Romania e Slovacchia.
Per quanto riguarda il disegno di legge sulla “trasparenza della vita pubblica“, la Commissione europea ha chiesto all’Ungheria di ritirare la norma, minacciando azioni legali se dovesse venire approvata in via definitiva.